Negli ultimi anni il nostro sistema di welfare ha subito importanti trasformazioni, attraverso un lungo ed impegnativo processo politico, culturale e legislativo avviato con la legge quadro 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), con il decreto legislativo 229 del 1999 (la cosiddetta riforma ter della sanità) e con le leggi di settore.
Un sistema di protezione e di benessere sociale, nonché di promozione dei diritti di cittadinanza, però deve necessariamente trovare punti di raccordo tra i diversi sistemi, tra cui essenzialmente quello della sanità, dell’assistenza, dell’istruzione, della formazione professionale e dell’occupazione a cui si devono armonizzare anche le politiche della casa, dei trasporti e del tempo libero.
Ma l’incapacità di sostenere i livelli di raccordo e d’integrazione tra i diversi sistemi è stato fino ad oggi uno degli aspetti di maggiore criticità del sistema di welfare lombardo. La molteplicità degli attori pubblici e privati - con profili giuridici, gestionali e valoriali altamente diversificati - richiede, infatti, una capacità di governance che non può essere sostenuta nelle sole forme regolatrici del mercato richiamando strumentalmente il protagonismo del cittadino e il principio della libertà di scelta nei confronti dei soggetti erogatori di servizi.
In Lombardia il tema cruciale è quello dell’integrazione sociosanitaria, su cui altre regioni da tempo hanno legiferato, per disciplinare le reti e le unità d’offerta in ambito sanitario, sociosanitario e sociale, in particolare nei confronti delle persone non autosufficienti, anziani e gravi disabili.
Il tema della maggiore necessità d’integrazione sociosanitaria si accompagna alla necessità di riconoscere agli enti locali e in particolare ai Comuni la piena titolarità del sistema integrato dei servizi per essere direttamente coinvolti nella fase di programmazione sanitaria e socio-sanitaria
ANZIANI
Il sistema di protezione sociale per le persone non autosufficienti e i disabili gravi
La Lombardia è tra le regioni che sta subendo uno strutturale processo di invecchiamento. La vita media di un cittadino lombardo ha raggiunto i 76,9 anni per gli uomini e gli 83,2 per le donne. Ma al progressivo invecchiamento della popolazione non corrisponde sempre un analogo miglioramento della qualità della vita.
Il modello di welfare regionale riducendo drasticamente i servizi di assistenza domiciliare integrata, non è riuscito a garantire una nuova risposta con strumenti adeguati e appropriati alla grave non autosufficienza di anziani e disabili, se non con insufficienti trasferimenti monetari (buoni e voucher).
Oltre alla necessità più volte ribadita di istituire un fondo regionale per il sostegno alla non autosufficienza, si evidenzia la necessità di garantire percorsi e legami tra Ospedale e Territorio sviluppando la rete della continuità di cura dopo le dimissioni ospedaliere e l’ospedalizzazione a domicilio i servizi semiresidenziali e di sollievo.
HANDICAP E DISABILITA’
Servizi, scuola, formazione, lavoro
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha adottato nuovi strumenti di classificazione delle persone cosiddette portatrici di handicap che rivoluzionano il concetto stesso di disabilità. L’intera strategia europea si basa sui principi della non discriminazione, delle politiche d’inclusione sociale e delle pari opportunità.
Il sistema di protezione sociale lombardo, anche nel confronto dell’handicap e della disabilità, è stato caratterizzato da un modello di welfare che enfatizza, anche qui, i principi della libertà di scelta e delle responsabilità familiari. E’ un sistema che si è avvitato su stesso alla ricerca esasperata di modelli organizzativi e gestionali, senza riuscire a promuovere una governance tra le istituzioni e gli attori sociali della sanità, dell’assistenza, della scuola, del lavoro, dello sport, della cultura.
Oltre al potenziamento della rete dei servizi, è necessario:
offrire risposte flessibili e personalizzate ai bisogni di cura e di riabilitazione;
promuovere, nei fatti, su tutto il territorio lombardo dell’inserimento e dell’integrazione scolastica, anche dopo la recente normativa nazionale e regionale sulle nuove modalità di certificazione dell’handicap;
lo sviluppo dei servizi di pronto intervento semiresidenziali e di sollievo, a favore dei familiari che assistono i propri congiunti durante le situazioni di acuzie e criticità;
politiche attive del lavoro e della formazione professionale, finalizzate alla centralità della persona disabile e svantaggiata (una delle criticità riguarda i disabili mentali) nel processo d’inserimento lavorativo e al concreto supporto dei datori di lavoro impegnati a realizzare programmi d’integrazione lavorativa.
PRIMA INFANZIA E ADOLESCENZA
In Italia le politiche sociali, dopo l’esperienza delle iniziative promosse e finanziate con le leggi 285 del 1997 e 328 del 2000, si sono caratterizzate per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e per il sostegno dei minori in situazione di grave disagio. In Lombardia, secondo alcune ricerche condotte dai servizi e dalle Università, è molto alto il numero di bambini in carico ai servizi delle ASL e dei Comuni vittime di violenza accertata e con decreto di tutela emesso dal Tribunale e di bambini colpiti da forme di disagio che lasciano sospettare la presenza di abusi o violenze non ancora accertati.
Nonostante la legge regionale “Politiche regionali per i minori”, la cui copertura finanziaria è inadeguata, ci sono segnali da non trascurare che giungono dai servizi. Inoltre, sul versante dei servizi per la prima infanzia, l’offerta di asili nido e di micronidi è sempre critica in quanto non risponde alle richieste delle famiglie, coprendo solo il 10% dell’utenza potenziale.
Per questo si rende necessaria l’adozione di un Piano per la prima infanzia e l’adolescenza dove ricondurre l’intera progettualità dei piani sociali di zona, dove declinare i livelli essenziali delle prestazioni sociali a favore dei minori che obbligatoriamente devono essere assunte dall’intero sistema d’offerta sociale su tutto il territorio lombardo;
interventi mirati nei confronti dei minori stranieri abbandonati o autori di reato e dei cosiddetti bambini ombra dediti all’accattonaggio;
nuove strategie per garantire le misure cautelari finalizzate al trattamento della devianza minorile e le prestazioni socio sanitarie al bambino maltrattato e abusato e sfruttato sessualmente, nonché piani di azione contro lo sfruttamento e il lavoro minorile;
la realizzazione di asili nido negli ambiti territoriali carenti o assenti di servizi, favorendo le forme di cooperazione tra Comuni e tra i Comuni e i soggetti privati accreditati, nonché la realizzazione dei micro-nidi sui luoghi di lavoro, anche al fine di rafforzare la partecipazione di tutti i soggetti del mondo produttivo nei confronti delle responsabilità famigliari.
DONNE E VIOLENZA
Il fenomeno della violenza ha dimensioni di grandi proporzioni e non conosce confini, né differenze di classe, di etnia, di cultura, di religione o di appartenenza politica e i dati stanno a dimostrarne la vastità e la diffusione.
In Lombardia il fenomeno assume un peso rilevante, in particolare nelle aree urbane, non solo per quanto riguarda i fatti più eclatanti riportati dalla cronaca, ma anche e soprattutto, come testimonia l’esperienza quotidiana dei centri antiviolenza, da una recrudescenza di quelle “violenze invisibili” che si consumano fra le mura domestiche.
Combattere la violenza, quindi, significa, non solo reclamare maggiore sicurezza nelle strade e nei luoghi pubblici, ma soprattutto provvedere adeguate risorse per progetti di prevenzione, formazione, accoglienza, assistenza, ascolto, controllo, anche allo scopo di produrre un cambiamento nella cultura che produce violenza, principio guida che sta alla base dell’impegno, ormai quasi trentennale della rete delle Case delle Donne, Servizi e Centri antiviolenza delle donne diffuse in modo capillare su tutto il territorio lombardo.
A tale proposito è stato presentato dal gruppo consiliare del PD un progetto di legge che, nel proporre di dare il giusto riconoscimento e l’adeguato sostegno pubblico alle Case delle Donne, Servizi e Centri antiviolenza, afferma in modo inequivocabile il diritto di ogni donna ad essere accolta da altre donne che hanno lungamente maturato un’esperienza basata sulla cultura, la solidarietà, e le libertà femminili.
Il PdL, che propone una visione dinamica delle politiche contro la violenza sulle donne, stabilisce i tratti dell’azione delle Case delle Donne, Servizi e Centri antiviolenza che, nell’avvalersi di competenze formate nelle pratiche dell’accoglienza, è finalizzata ad assicurare in assoluta autonomia di metodo e di gestione, sostegno e solidarietà ad ogni singola donna.
Nell’indicare forme di collaborazione fra i Centri e le istituzioni, e tipologie di supporto volte a garantirne la continuità dell’attività, si pone l’obiettivo di istituzionalizzare le Case delle Donne, Servizi e Centri antiviolenza, inserendoli tra le strutture facenti parte della rete dei servizi territoriali e costituendo un Fondo regionale di finanziamento.
Un sistema di protezione e di benessere sociale, nonché di promozione dei diritti di cittadinanza, però deve necessariamente trovare punti di raccordo tra i diversi sistemi, tra cui essenzialmente quello della sanità, dell’assistenza, dell’istruzione, della formazione professionale e dell’occupazione a cui si devono armonizzare anche le politiche della casa, dei trasporti e del tempo libero.
Ma l’incapacità di sostenere i livelli di raccordo e d’integrazione tra i diversi sistemi è stato fino ad oggi uno degli aspetti di maggiore criticità del sistema di welfare lombardo. La molteplicità degli attori pubblici e privati - con profili giuridici, gestionali e valoriali altamente diversificati - richiede, infatti, una capacità di governance che non può essere sostenuta nelle sole forme regolatrici del mercato richiamando strumentalmente il protagonismo del cittadino e il principio della libertà di scelta nei confronti dei soggetti erogatori di servizi.
In Lombardia il tema cruciale è quello dell’integrazione sociosanitaria, su cui altre regioni da tempo hanno legiferato, per disciplinare le reti e le unità d’offerta in ambito sanitario, sociosanitario e sociale, in particolare nei confronti delle persone non autosufficienti, anziani e gravi disabili.
Il tema della maggiore necessità d’integrazione sociosanitaria si accompagna alla necessità di riconoscere agli enti locali e in particolare ai Comuni la piena titolarità del sistema integrato dei servizi per essere direttamente coinvolti nella fase di programmazione sanitaria e socio-sanitaria
ANZIANI
Il sistema di protezione sociale per le persone non autosufficienti e i disabili gravi
La Lombardia è tra le regioni che sta subendo uno strutturale processo di invecchiamento. La vita media di un cittadino lombardo ha raggiunto i 76,9 anni per gli uomini e gli 83,2 per le donne. Ma al progressivo invecchiamento della popolazione non corrisponde sempre un analogo miglioramento della qualità della vita.
Il modello di welfare regionale riducendo drasticamente i servizi di assistenza domiciliare integrata, non è riuscito a garantire una nuova risposta con strumenti adeguati e appropriati alla grave non autosufficienza di anziani e disabili, se non con insufficienti trasferimenti monetari (buoni e voucher).
Oltre alla necessità più volte ribadita di istituire un fondo regionale per il sostegno alla non autosufficienza, si evidenzia la necessità di garantire percorsi e legami tra Ospedale e Territorio sviluppando la rete della continuità di cura dopo le dimissioni ospedaliere e l’ospedalizzazione a domicilio i servizi semiresidenziali e di sollievo.
HANDICAP E DISABILITA’
Servizi, scuola, formazione, lavoro
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha adottato nuovi strumenti di classificazione delle persone cosiddette portatrici di handicap che rivoluzionano il concetto stesso di disabilità. L’intera strategia europea si basa sui principi della non discriminazione, delle politiche d’inclusione sociale e delle pari opportunità.
Il sistema di protezione sociale lombardo, anche nel confronto dell’handicap e della disabilità, è stato caratterizzato da un modello di welfare che enfatizza, anche qui, i principi della libertà di scelta e delle responsabilità familiari. E’ un sistema che si è avvitato su stesso alla ricerca esasperata di modelli organizzativi e gestionali, senza riuscire a promuovere una governance tra le istituzioni e gli attori sociali della sanità, dell’assistenza, della scuola, del lavoro, dello sport, della cultura.
Oltre al potenziamento della rete dei servizi, è necessario:
offrire risposte flessibili e personalizzate ai bisogni di cura e di riabilitazione;
promuovere, nei fatti, su tutto il territorio lombardo dell’inserimento e dell’integrazione scolastica, anche dopo la recente normativa nazionale e regionale sulle nuove modalità di certificazione dell’handicap;
lo sviluppo dei servizi di pronto intervento semiresidenziali e di sollievo, a favore dei familiari che assistono i propri congiunti durante le situazioni di acuzie e criticità;
politiche attive del lavoro e della formazione professionale, finalizzate alla centralità della persona disabile e svantaggiata (una delle criticità riguarda i disabili mentali) nel processo d’inserimento lavorativo e al concreto supporto dei datori di lavoro impegnati a realizzare programmi d’integrazione lavorativa.
PRIMA INFANZIA E ADOLESCENZA
In Italia le politiche sociali, dopo l’esperienza delle iniziative promosse e finanziate con le leggi 285 del 1997 e 328 del 2000, si sono caratterizzate per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e per il sostegno dei minori in situazione di grave disagio. In Lombardia, secondo alcune ricerche condotte dai servizi e dalle Università, è molto alto il numero di bambini in carico ai servizi delle ASL e dei Comuni vittime di violenza accertata e con decreto di tutela emesso dal Tribunale e di bambini colpiti da forme di disagio che lasciano sospettare la presenza di abusi o violenze non ancora accertati.
Nonostante la legge regionale “Politiche regionali per i minori”, la cui copertura finanziaria è inadeguata, ci sono segnali da non trascurare che giungono dai servizi. Inoltre, sul versante dei servizi per la prima infanzia, l’offerta di asili nido e di micronidi è sempre critica in quanto non risponde alle richieste delle famiglie, coprendo solo il 10% dell’utenza potenziale.
Per questo si rende necessaria l’adozione di un Piano per la prima infanzia e l’adolescenza dove ricondurre l’intera progettualità dei piani sociali di zona, dove declinare i livelli essenziali delle prestazioni sociali a favore dei minori che obbligatoriamente devono essere assunte dall’intero sistema d’offerta sociale su tutto il territorio lombardo;
interventi mirati nei confronti dei minori stranieri abbandonati o autori di reato e dei cosiddetti bambini ombra dediti all’accattonaggio;
nuove strategie per garantire le misure cautelari finalizzate al trattamento della devianza minorile e le prestazioni socio sanitarie al bambino maltrattato e abusato e sfruttato sessualmente, nonché piani di azione contro lo sfruttamento e il lavoro minorile;
la realizzazione di asili nido negli ambiti territoriali carenti o assenti di servizi, favorendo le forme di cooperazione tra Comuni e tra i Comuni e i soggetti privati accreditati, nonché la realizzazione dei micro-nidi sui luoghi di lavoro, anche al fine di rafforzare la partecipazione di tutti i soggetti del mondo produttivo nei confronti delle responsabilità famigliari.
DONNE E VIOLENZA
Il fenomeno della violenza ha dimensioni di grandi proporzioni e non conosce confini, né differenze di classe, di etnia, di cultura, di religione o di appartenenza politica e i dati stanno a dimostrarne la vastità e la diffusione.
In Lombardia il fenomeno assume un peso rilevante, in particolare nelle aree urbane, non solo per quanto riguarda i fatti più eclatanti riportati dalla cronaca, ma anche e soprattutto, come testimonia l’esperienza quotidiana dei centri antiviolenza, da una recrudescenza di quelle “violenze invisibili” che si consumano fra le mura domestiche.
Combattere la violenza, quindi, significa, non solo reclamare maggiore sicurezza nelle strade e nei luoghi pubblici, ma soprattutto provvedere adeguate risorse per progetti di prevenzione, formazione, accoglienza, assistenza, ascolto, controllo, anche allo scopo di produrre un cambiamento nella cultura che produce violenza, principio guida che sta alla base dell’impegno, ormai quasi trentennale della rete delle Case delle Donne, Servizi e Centri antiviolenza delle donne diffuse in modo capillare su tutto il territorio lombardo.
A tale proposito è stato presentato dal gruppo consiliare del PD un progetto di legge che, nel proporre di dare il giusto riconoscimento e l’adeguato sostegno pubblico alle Case delle Donne, Servizi e Centri antiviolenza, afferma in modo inequivocabile il diritto di ogni donna ad essere accolta da altre donne che hanno lungamente maturato un’esperienza basata sulla cultura, la solidarietà, e le libertà femminili.
Il PdL, che propone una visione dinamica delle politiche contro la violenza sulle donne, stabilisce i tratti dell’azione delle Case delle Donne, Servizi e Centri antiviolenza che, nell’avvalersi di competenze formate nelle pratiche dell’accoglienza, è finalizzata ad assicurare in assoluta autonomia di metodo e di gestione, sostegno e solidarietà ad ogni singola donna.
Nell’indicare forme di collaborazione fra i Centri e le istituzioni, e tipologie di supporto volte a garantirne la continuità dell’attività, si pone l’obiettivo di istituzionalizzare le Case delle Donne, Servizi e Centri antiviolenza, inserendoli tra le strutture facenti parte della rete dei servizi territoriali e costituendo un Fondo regionale di finanziamento.
Nessun commento:
Posta un commento